La mattina del tre gennaio, dopo essermi stiracchiata nel mio comodo letto, mi alzai ancora insonnolita e, subito, una straordinaria sorpresa mi accolse: dai vetri del nostro salotto si vedeva una dolce neve invadere il cielo. Era la prima volta dal nostro matrimonio che nevicava e i pini del giardino erano bianchi come quelli delle favole. Sul campetto da calcio dei bambini si era posata una soffice distesa bianca, e mi venne voglia di correrci sopra lasciandoci tutte le impronte. Le auto parcheggiate avevano il tetto pieno di neve e ovunque migliaia di fiocchi saettavano inclinati dall’alto.
Ammirata dallo spettacolo, feci colazione il più velocemente possibile, e poi mi accucciai sul divano con le tende della finestra ben aperte ed una calda coperta addosso. Dovevo finire di studiare come si effettua un elettrocardiogramma, ma il mio libro e tutti i suoi grafici in bianco e nero non mi avrebbero impedito di dare una sbirciatina fuori dalla finestra, di tanto in tanto.
Giovanni era uscito presto, come suo solito, per sostituire il suo medico di famiglia.
La giornata trascorreva lenta e uggiosa, e quando finalmente giunse l’ora del suo ritorno, vedendo che tardava, abbandonai i libri e gli feci una telefonata.
Dopo qualche squillo, una voce tranquilla e serena mi rispose.
“Ciao tesoro, tutto bene?”.
“Sì, grazie. Volevo solo sapere quando mettere l’acqua per la pasta. Arrivi per pranzo o hai ancora molto da sbrigare?”.
“Oh, non ti preoccupare, sto per tornare. Devo solo fare l’ultima visita domiciliare. Un paziente ha bisogno del foglio per la mutua visto che non va al lavoro. Lo visito, compilo tutto e torno. Mezz’ora al massimo e son da te!”.
Giovanni arrivò a destinazione e suonò il campanello.
Poco dopo, il signor Di Stefani rispose al citofono.
“Chi è là?” urlò un vocione tonante ed intimidatorio “È il dottore? Perché, se non è il dottore, non apro!”.
Giovanni sorrise per l’ingenuità.
“Sì, signor Di Stefani, stia tranquillo. Sono il sostituto della sua dottoressa. Le devo scrivere il certificato per la mutua, si ricorda?”
“Certo che mi ricordo, diamine! Su, su, salga. Abito al terzo piano”.
Non appena Giovanni arrivò sul pianerottolo sentì qualcuno armeggiare selvaggiamente dietro la serratura della porta. Facendo finta di niente, suonò il campanello. Il rumore tacque per un istante, per poi riprendere ancora più violento.
“Chi è?” chiese la voce del signor Di Stefani.
“Ma sono sempre io: il medico per il certificato, signor…”.
“Sì, ho capito che è lei!” riprese a urlare il paziente “Ma non posso aprirle, capisce?”. Giovanni no, non riusciva molto a capire. Nel frattempo, si era tolto il cappello pieno di neve e i guanti, per potergli stringere la mano come si conviene.
“E per quale motivo non mi può aprire la porta? Devo visitarla, se no come faccio a…”.
“Sì, sì, lo so! Ma è che… mia moglie mi ha chiuso in casa! È andata via! Sa, doveva fare la spesa al supermercato qua dietro, e mi ha chiuso dentro!”.
“Ah. Ma lei non ha un altro mazzo di chiavi?”.
Il signor Di Stefani cessò i suoi armeggiamenti all’improvviso.
“Giusto! Ma sa che lei è un genio? Ecco perché vi fanno dottori…”.
“Sì, d’accordo, però ora vada a cercare le chiavi, per favore!”.
“Certo! Dannazione, attenda qui che arrivo subito!”.
Giovanni sorrise mesto alla porta… dove altro avrebbe dovuto attendere? Intanto, nella sua testa, sfumava amaramente l’idea del pranzo con sua moglie.
Il frastuono ricominciò e Giovanni riprese la valigetta in mano, pronto ad essere accolto. Ma, nel giro di un nanosecondo, quel maledetto rumore si trasformò in qualcosa di ancora peggio. Pareva proprio che il ferro facesse a pugni con la serratura!
“Dottore? È ancora lì?”.
“Certo, dove dovrei essere, se no? Qual è il problema, ora?”.
“Beh… non c’è niente da fare!”.
“In che senso?” la voce di Giovanni iniziava ad essere sconsolata.
“Non si apre! Mia moglie mi ha lasciato il mazzo difettoso e si è portata dietro quello buono, quello che apre!”
“Quello che apre? Ma dovreste farle aggiustare le chiavi! Se vi capitasse qualcosa…”.
“Sì, lo so, lo so! E lei ha anche ragione, ma non c’è niente da fare, non apre!”.
Il rumore stava ora diventando un tentativo di sfondamento e Giovanni temette il peggio, ovvero che l’intera serratura diventasse inutilizzabile.
“Senta, signor Di Stefani, mi ascolti: lasci perdere le chiavi. Le compilo il certificato da qui, va bene?”.
“Oh, sì, ottima idea. Mi dica cosa devo fare”.
“Allora…” Giovanni tirò fuori il blocchetto e la penna “Mi dica nome e cognome precisi, e poi l’indirizzo esatto…”.
Il signor Di Stefani, per fortuna, ricordava tutto a mena dito, compreso il codice di avviamento postale e il suo codice fiscale. Almeno questo! Cinque minuti dopo, il certificato era pronto.
“Grazie mille, dottore, non so proprio come ringraziarla! Non so dirle quanto sia dispiaciuto!”.
“Non si preoccupi, nessun problema. Solo che, ora, dove glielo metto?”.
“Ah, già… beh, lo lasci sullo zerbino! E ancora grazie… Vedi perché li fanno dottori…”.
Giovanni rimise penna e blocchetto a posto, lasciò il foglio sul tappetino, si rivestì e chiamò l’ascensore. Ma, dall’alto del pianerottolo sopra, una figura incappucciata e con uno spesso scialle di lana viola lo chiamò.
“Ora tocca a me, vero?” domandò la donna.
“Come, scusi?” balbettò lui, colto alla sprovvista e sentendosi incredibilmente simile ad un ladro o, peggio ancora, ad un venditore di enciclopedie.
“Fa l’inventario di tutti quelli che abitano qui? Le devo dare anch’io i miei dati? Si può sapere cosa vendete questa volta? Oppure lei è per caso… sì, ora ho capito, è quello del gas!”.
Il giovane dottore fece una smorfia, prima di rispondere a testa china.
“No, non si preoccupi, non devo venire da lei!”.
“E allora perché stava lì fuori, col signor Di Stefani?” Giovanni pensò un istante se valesse la pena raccontare la verità a una vecchia incappucciata e con uno scialle viola, che lo fissava con gli occhi di fuori, dal ballatoio di sopra.
“Ehm, non passo da lei perché ora sono in pausa pranzo. Arrivederci, signora!”.
Detto questo, lasciò perdere l’ascensore e scese a piedi i gradini di quel palazzo così strano.
Uscito fuori, la neve era aumentata. La macchina era ad un isolato di distanza e Giovanni ne approfittò per farmi una telefonata.
“Cara, sono io. Sì, senti, tu hai già mangiato? Ah, mi aspettavi? Sì, certo, dovrei tornare fra mezz’ora, credo. Ho avuto un piccolo imprevisto, niente di che…”.
E mentre la mia voce lo tranquillizzava al telefono, completamente abituata, ormai, al fatto che non si sapesse mai quando una mezz’ora fosse veramente tale, Giovanni notò con la coda dell’occhio, sul marciapiede opposto, una signora indaffarata con il suo carrello della spesa.
Una fra tante, forse.
D’istinto, però, ebbe la tentazione di salutare quella che, secondo lui, era proprio la moglie del signor Di Stefani che tornava a casa.